Un viaggio per la vita

“E quando è tornato era diverso… no, era chi era sempre stato, come se avesse ritrovato se stesso”.

La storia di Nicolò in “Bianco come Dio”: un viaggio che l’avrebbe cambiato per sempre 

20 anni, zaino in spalla, tanta sana fame di vita. E di partire alla scoperta del mondo (e anche un po’ di sé). Alzi la mano chi non si ritrova un po’ in questo incipit… o chi vorrebbe essere proprio in quel punto di svolta della propria vita. Questa che vi racconto oggi è la storia di un ragazzo come tanti ne conosciamo. La storia di un’anima curiosa e affamata, la storia di un viaggio, la storia di un’avventura che non vede ancora una fine ben definita.

Eppure, a guardarla bene, quella di Nicolò Govoni non è la solita storia.

Perché di partire a 20 anni zaino in spalla è partito, vero, ma con la differenza che durante il tragitto ha incontrato tante istantanee di vita che meritavano di essere ricordate, raccolte, raccontate. Come solo la narrativa sa fare.

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Il viaggio di Nicolò

A 20 anni Nicolò parte alla volta dell’India, per svolgere un volontariato presso un orfanotrofio locale. Il racconto di questa avventura è racchiuso come uno scrigno prezioso nella sua opera prima, “Uno”, edito da Genesis Publishing.

Dayavu Home, questo il nome dell’orfanotrofio dell’India del sud dove il ragazzo passerà alcuni mesi della sua vita, è molto più di un luogo di lavoro. Dayavu Home per Nicolò ben presto diventerà più di una casa, un luogo nel quale sentirsi accolti, apprezzati e, soprattutto, utili. Ad una causa più grande rispetto a ciò che è abituato fare in Italia. Una causa che ha a che vedere con il coraggio, la determinazione, la forza d’animo e di volontà. E che si avvicina alla scoperta. Di sé attraverso gli altri, e degli altri attraverso il viaggio lontano dalle ancore, dalle certezze, dagli affetti. Un viaggio che, come momentaneamente succede, è destinato a terminare.

Un bagaglio più grande…

Dopo tre mesi di vita e lavoro dentro l’orfanotrofio Nicolò tornerà a casa, ma con un bagaglio più grande.

La consapevolezza del mondo che lo circonda, la chiarezza di vedute, che gli fanno mettere nero su bianco quello che forse dentro di sé ha sempre saputo: quando si intraprende un viaggio alla scoperta del mondo, questo viaggio non avrà davvero mai fine.

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Passa qualche mese e una volta terminati gli studi Nicolò riprende in mano di nuovo il suo zaino, stavolta con uno scopo già in mente. Tornare a Dayavu Home, ma per fare la differenza nonostante tutto.

In “Bianco come Dio”, dunque, Nicolò ci racconta in prima persona la sua idea di viaggio personale, intrecciato alla vita dei 20 bambini che conosce durante il suo percorso in India. Bambini che hanno subìto le sofferenze più atroci, bambini che hanno bisogno di denaro per sopravvivere, per andare a scuola. Bambini, infine, che seppur felici di ricevere aiuto e visite, soffrono ardentemente il distacco di chi decide poi di andare via senza guardarsi indietro. Come sempre è successo.

La rivoluzione del restare…

L’idea che in “Bianco come Dio” Nicolò mette in campo è proprio quella rivoluzionaria di restare.

Contro l’idea del “volonturismo” – quella cioè di diventare volontari presso i luoghi del disagio per un periodo limitato di tempo, una sorta di connubio tra volontariato e turismo a tempo determinato – quindi, lui prende la decisione più ardua di tornare e di vivere lì con i suoi nuovi amici. Insegnerà loro l’inglese, li ascolterà quando ci sarà qualche momento difficile, li aiuterà ad affrontare genitori e persone care che in un modo o nell’altro li hanno segnati per sempre, contribuirà con raccolte fondi dal territorio e per il territorio. Si prenderà cura di loro come solo le persone di famiglia sanno far bene.

Il racconto di Nicolò è semplice e diretto, capace di intrecciare pagina dopo pagina storie di vita, ritratti di persone, racconti di luoghi dell’immaginario lontani, agganciandoli in maniera scorrevole alla sua storia personale, a riflessioni private che diventano condivisibili quando incontrano una platea numerosa come quella dei suoi lettori.

Con un occhio, infine, alla Storia con la S maiuscola. Nicolò, infatti, non è uno che si tira indietro: le sue critiche ad un certo way of being degli occidentali non sono nemmeno troppo velate. Sono, anzi, dirette e sincere. E vengono dal cuore. Un cuore che proprio perché si trova sul campo a stretto contatto con le fragilità e le difficoltà umane è capace di restituire un punto di vista empatico, personale ma, allo stesso tempo, universale. Un libro per pensare. Per conoscere. Per riflettere. Per amare indissolubilmente l’uomo nelle sue imperfezioni, pur trovando la nostra personale connessione con la divinità. Che è, del resto, la parte più pura, altruista ed incontaminata del nostro essere umani.

Il ricavato di “Bianco Come Dio” è devoluto interamente in beneficenza ai ragazzi di Dayavu Home al fine di pagare loro gli studi. Che ne dite? Vogliamo dare una mano a Nicolò e ai suoi bambini acquistando una copia di “Bianco Come Dio”?

 

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