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La mia storia: il Binge Eating Disorder

Sono belli i bambini, vero?

E ancora più belli sono i bambini paffuti, quelli che correndo in spiaggia portano a spasso le loro macroscopiche piegone che vorresti baciare a morsi, quelli che quando fanno una corsetta per rincorrere chissà cosa tornano indietro con le guanciotte rosse tutti accaldati.

Ecco, io da bambina ero così: un batuffolo cicciotto, con i capelli neri e riccioluti.

Ero buffa, ero carina, ma ero in sovrappeso fin da piccola. E lo sono sempre stata tutta la mia vita.

Ora che so come ho perso 35 kg in un anno senza dieta attraverso un percorso di crescita psico-fisica molto duro, quando riguardo indietro alle mie foto sorrido a quella piccola bambina, ignara della strada tortuosa, scomoda, ma imprevedibile e piena di meraviglia che si sarebbe trovata davanti non appena avrebbe avuto modo di capire.

Sorrido un po’, ma poi smetto.

Quando guardo questi bambini oggi, infatti, dopo il sorriso colmo di amore non posso fare a meno di pensare che no, che tutto sommato non è giusto che stiano così. Che nessuno prenda in tempo dei provvedimenti per risparmiare loro sofferenze e turbamenti psicologici.

Ma andiamo con ordine, perché la mia storia ve la voglio raccontare proprio tutta. E non l’ho mai raccontata così prima d’ora.

Mi piacciono da morire le merendine. E muoio per i biscotti al burro. Figuriamoci quanto potevo amarli da bambina. Mia madre era una di quelle classiche mamme che riempiva non solo d’amore la casa ma anche di zuccheri raffinati la dispensa della cucina. E si sa, l’ape va al miele. Ricordo che passavo tutto il giorno in cucina, a fare i compiti o a guardare Italia 1 e, nel frattempo, ad assaporare tutti i diversi tipi di biscotti e merendine che trovavo. Sapevo che stavo mangiando tanto, ma non riuscivo a smettere. E non mi importava più di tanto farlo. Almeno fino a quando non sono andata alle scuole medie.

C’erano troppi bambini per una piccola cicciottella che veniva da una classe di paese di 6 persone, dove mi conoscevano già tutti. Troppe nuove pesti pronte a prenderti in giro per come vestivi, per come eri, per il tuo seno e le tue forme che crescevano più delle altre.

Non mi piaceva sentirmi osservata così. Sapevo che dovevo perdere peso, anche se mi rifiutavo di dare ragione alle persone che mi guardavano con compassione.

Perché non mi lasciavano in pace?

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A non lasciarmi in pace, in realtà, era il mio senso di inadeguatezza, con il quale sono arrivati i primi problemi. Ero stressata, ossessionata dalla bilancia, richiamata in maniera martellante dai biscotti e dalle merendine che dalla cucina sembrava attraversassero tutti i muri di cemento di casa per tentarmi con dei modi neanche troppo gentili. E al primo accenno di cedimento aprivo la scatola e la mangiavo tutta. Anzi, centellinavo le risorse pescando da più pacchi per non far accorgere mia madre di ciò che accadeva nella sua cucina. Di notte, di nascosto, quando tutti dormivano e il latte è ancora più buono. E quando alla luce della notte ci si sente un po’ meno in colpa.

Crescendo capivo sempre di più che avevo un problema. Che quelle abbuffate notturne, in gran segreto, non potevano essere normali.

E così ho cercato durante l’adolescenza di prendere provvedimenti. Iniziando un calvario senza fine: volevo capire come dimagrire velocemente cercando una dieta lampo dopo l’altra, per eliminare il mio sovrappeso prima e la mia obesità dopo.

La dieta, quando ero forte abbastanza per continuarla, era un mio porto sicuro, un momento in cui mi sentivo forte e non più sola. Eppure, non era abbastanza. Quando capivo che perdere peso velocemente non era così semplice ricadevo immediatamente in un vortice di frustrazione, rancore verso me stessa, pietà e istinto di sopraffazione. E tornavo come un fulmine correndo verso la cucina e le mie abbuffate, che quando tutti uscivano erano diventate anche diurne, e non solo notturne. Il cibo era un momento di godimento puro. Ma era effimero, durava un battito di ciglia. Dopo pochi minuti mi sentivo così in colpa che tornavo in camera mia, nel letto, a piangere e sotterrarmi sotto le coperte come se non volessi più svegliarmi il giorno dopo.

Ho provato di tutto:

  • dieta Atkins
  • dieta macrobiotica
  • dieta liquida e depurativa
  • dieta scarsdale
  • dieta weightwatchers
  • dieta metabolica
  • dieta montagna
  • dieta dukan
  • dieta vegana e dieta vegetariana
  • dieta south beach

Ho provato anche le erbe per dimagrire, cercando di gestire la mia alimentazione da sola e arrivandomi a pesare anche 10 volte al giorno. Ad un certo punto sono arrivata a capire quanti etti avrei accumulato durante la giornata mangiando determinati alimenti anche senza pesarmi più. La bilancia era la mia seconda pelle. Ero diventata un’esperta, eppure niente stava funzionando veramente. E non per colpa delle diete, che in sé non avevano nulla di così terribilmente fallimentare, anche se davo a loro la colpa del mio malessere perenne. Che non fosse un problema di dieta l’ho capito dopo. Ma ve lo spiego tra poco.

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Il disturbo da alimentazione incontrollata: aiuto aiuto!

Come fo tatto a perdere 35 kg in un anno senza dieta, considerando questa storia triste che vi sto raccontando, dunque? Grazie alla mia curiosità, ai vestiti e alla fotografia.

Durante i miei anni lottando contro il BED, il Binge Eating Disorder che allora non conoscevo ma che presto avrei ritrovato nelle pagine Internet di migliaia di siti americani, ho sviluppato una certa vocazione per la nutrizione e l’alimentazione. Passavo ore e ore online, intasando la linea telefonica 56k dei miei, cercando l’illuminazione: prodotti dimagranti, integratori per dimagrire e ancora tutto ciò che potevo trovare circa i disturbi alimentari e il mangiare emozionale.

La mia curiosità mi ha portato a scovare online quelle risposte che non riuscivo a trovare a casa, o nella mia ristretta cerchia di amici e conoscenti. Non mi bastava la mia visione allo specchio, ho sempre avuto un carattere forte e non potevo accettare di arrendermi a qualcosa che sfuggiva al mio controllo.

Dovevo essere io a capire COSA MI STESSE ACCADENDO.

E io a rialzarmi da quelle sabbie mobili e ricominciare a vivere. E così, studiando come mi riusciva bene, ho scoperto che oltre all’anoressia e alla bulimia nervosa c’era anche un’altra malattia, qualcosa di più sottile e meno plateale, più difficile da spiegare. Non si digiunava a morte specchiandosi scheletriche e vedendosi grasse o non si vomitava dopo aver mangiato per evitare di digerire il cibo, come anoressia e bulimia avevano rispettivamente insegnato a tutti i giornalisti che ne parlavano come del male del secolo tra i giovani, insieme all’AIDS. Del resto, coloro che tentavano di elencare i sintomi del terzo tipo di malattia del cibo forse non ne avevano mai sofferto. Ma io si. E mi ci ritrovavo in pieno. Avrei potuto scrivere un trattato sui sintomi, addirittura.

La mia autodiagnosi era chiara e corretta- come ho scoperto poi durante le sedute dallo psicologo. Soffrivo del BED, il Binge Eating Disorder.

Un disturbo da alimentazione incontrollata tipico di coloro che soffrono un piccolo deficit di autostima (e la mia era sottoterra grazie al mio seno gigante e alla mia taglia 52) e che golosamente si rifugiano nel cibo, cercando il Santo Graal dell’appagamento ma trovando il paradosso del rovescio della medaglia: un’alimentazione compulsiva che ti strappa via senso di sazietà e piacere del gusto. Più vuoi dimagrire più sei nervosa, più sei nervosa più mangi, più mangi più ingrassi, e più ingrassi e più ti senti in colpa prendendola con te stessa. Continuando ad odiarti senza toccare il fondo.

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Disturbo da alimentazione incontrollata: cause. Il potere di ascoltarsi dentro e di guardarsi dall’esterno.

Eppure il fondo l’ho toccato. E ricordo anche quando. Un caldo pomeriggio romano di fine estate quando, dopo un’estate di bagordi culinari con il mio ex-fidanzato dell’epoca, ho messo su i jeans che non mettevo da 6 mesi. Io e i jeans abbiamo un brutto rapporto: li adoro ma sono scomodi. E quando fa caldo a Roma, ovvero da maggio ad ottobre, sono banditi dal mio armadio. Ecco perché dopo 6 mesi, quando ho provato a rimetterli e non riuscivo nemmeno a tirarli su dalle ginocchia, sono rimasta scioccata: quanti chili ero stata capace di prendere in 6 mesi di “libertà dalla bilancia”? Con molta fatica e con la paura di una crisi nervosa dietro l’angolo, sono salita sulla bilancia, quella elettronica e meno accomodante della analogica. 77,5 KG.

Come avevo potuto prendere 15 kg in 6 mesi?

Scioccata e terrificata ho staccato dal muro una mia foto di 6 mesi prima, mettendola in paragone con una delle ultime che avevo appena stampato (ancora le stampo, io, le foto, perché sono davvero una cartina di tornasole di ciò che siamo e di come cresciamo con il tempo). Ebbene. La ragazza di Maggio, quella che aveva lottato per arrivare a 62 kg con la sua sola forza di volontà, era ripiombata nel vortice della ragazza sfigata e obesa di Ottobre, che non riusciva dopo 6 mesi a rientrare in un normalissimo paio di jeans.

Ricorderò sempre quel momento. Il momento in cui sono rimasta a guardarmi allo specchio, nuda, per un giorno intero.

Ho osservato ogni centimetro della mia pelle, dalle gambe paffute ma ancora solide alla pancia che è sempre stato il punto debole della famiglia, fino ad arrivare al seno taglia 7° che pesava come un macigno sulla mia schiena e alle braccia, due pesanti bussolotti senza grazia. Osservavo me, nuda, e quella foto appena scattata. Guardandomi negli occhi allo specchio mi sono detta: mai più. Mai più salirò oltre questo peso. Mai più tornerò a vergognarmi così tanto di me stessa. Mai più permetterò a qualcosa di prendere il sopravvento su di me.

Dentro ero una ragazza solare, bella, piena di vita, desiderosa di scalare montagne sentendomi leggera. Fuori ero l’ombra di una persona pesante, morta alla vita, che si faceva schifo. La mia sfida, come ha detto Michelangelo parlando dell’eccesso di marmo del suo David, era quella di scalpellare il superfluo, scavare e tirare fuori la ragazza che era già dentro e che mi stava aspettando. Ancora una volta ho fatto appello ad una mia caratteristica innata: la resilienza.

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Binge Eating Disorder: come guarire con la resilienza

“Come guarire dalla bulimia senza psicologo” o “Come guarire dal BED”: continuavo a cercare online le mie risposte, ma stavolta avevo un alleato in più per impostare un piano di battaglia e scoprire come vincere il binge eating: la mia curiosità per il cibo.

Ho rovesciato la medaglia, cercando di comprendere di più quello che mangiavo, senza per forza considerarlo un nemico. Ho imparato a:

  • conteggiare le calorie, se non altro per capire come funzionassero;
  • leggere le etichette degli ingredienti imparando a memoria i termini tecnici;
  • studiare la nutrizione e l’alimentazione;
  • capire come funzionasse l’industria alimentare, specie nella gestione delle farine raffinate e dei conservanti (con buona pace dei miei adorati biscotti e merendine!);
  • seguire alcune personalità che ritenevo sì affidabili luminari ma anche un po’ alternativi: in un periodo in cui tutti gridavano allo scandalo circa l’anoressia, ricordo ancora il putiferio che sollevò Umberto Veronesi quando parlò per la prima volta del concetto di “digiuno intermittente”;
  • leggere online le testimonianze di altre persone, ragazze prevalentemente, che come me soffrivano di un disturbo alimentare compulsivo o di alimentazione incontrollata;
  • imparare a bilanciare gli alimenti e a creare da sola un regime alimentare personalizzato;
  • stabilire una disciplina che ancora oggi mi porto dietro (e funziona) e che non si basa sul rifiuto del cibo quanto sul tornare a goderne del sapore e del gusto;
  • concedermi qualche sfizio dentro un regime alimentare che contrastasse proprio la mia alimentazione compulsiva.

Chiusa in casa a studiare, evitando le occasioni mondane, ho avuto modo di leggere libri che hanno cambiato la mia vita alimentare.

Circondata solo da me stessa e tatuandomi la parola “resilienza” sulla pelle per non scordarla mai, dunque, ho capito che avrei potuto davvero farcela se avessi messo in atto qualche accorgimento non solo per seguire una dieta in particolare, quanto per impostare una routine alimentare per la vita una volta per tutte, per me e per la mia salute.

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Ecco perché le diete non funzionavano!

Avevo sperato che le diete fossero le risposte alle mie domande esistenziali. Che una dieta qualsiasi avrebbe dato al mio cervello tutto ciò di cui aveva bisogno per invertire la rotta che mi avrebbe condotta al corpo che ho oggi. Che per cercare di vincere la mia alimentazione incontrollata i rimedi efficaci erano semplici: non mangiare mai più carboidrati, evitare per sempre i dolci, evitare di uscire fuori con gli amici, abolire la cioccolata, non comprare più merendine e biscotti, demonizzare per sempre il glutine e la pasta.

Ora, forse in qualcuno di questi rimedi c’è un pizzico di verità, ma ciò che mancava era lo switch, l’interruttore, il momento determinante che mi avrebbe consentito di avere un pacco di Abbracci davanti e mangiarne solo due, riponendo la scatola per un’altra occasione.

Era il controllo che mi mancava, la consapevolezza di me stessa e di quello che non solo ero ma che potevo diventare, migliorandomi ogni giorno come persona e come donna.

Sia dentro che fuori.

Ecco perché le diete non funzionavano: erano loro a controllare me, così come la mia fame incontrollata gestiva completamente i miei stati d’animo. Dopo un intero giorno passato guardandomi allo specchio, invece, ho scoperto che il timone del mio viaggio potevo afferrarlo solo io.

Mi sono sentita forte come non mai, senza dare la colpa agli altri, alle merendine, alla mia golosità, alla mia mancanza di autostima. Ero forte. Ero resiliente. Potevo farcela TIRANDO FUORI LA MIA GRINTA.

Vuoi guarire proprio come ho fatto io?

Ho creato un percorso apposta per te!

Ho iniziato la mia lotta contro il BED, un disturbo oggi conosciuto ma che all’epoca era ancora una nebulosa, quando ho capito che era una lotta personale e non una malattia senza cura. Quando ho scoperto che il cibo non era un nemico ma un fedele alleato che non mi avrebbe mai deluso una volta conosciutisi a fondo. E così ho continuato:

  • ho impostato una dieta bilanciata settimanale cercando di bere molta acqua e tisane senza concessioni. Semplicemente, ho preso le distanze e ho guardato una torta alla frutta o una mousse al cioccolato per quello che erano: piatti buonissimi da assaporare ogni tanto, quando il momento e la circostanza l’avrebbero resi ancora più speciali;
  • mi sono concessa una cena libera a settimana e una colazione la domenica mattina: non potete immaginare quanto, oggi, mi godo quei biscotti con una bella tazza di latte e caffè;
  • ho imparato a gestire le ricadute, specie nei giorni difficili per noi donne, quando mi permetto un pizzico di dolcezza in più ma senza sentirmi in colpa;
  • ho iniziato ad allenarmi in maniera costante, scaricando energie negative e bruciando i grassi;
  • ho il controllo del mio peso e della mia alimentazione;
  • ho affrontato i miei demoni grazie all’aiuto di una persona speciale che mi ha proclamata “psicologa di me stessa”;
  • ho imparato, viaggiando e assaporando prodotti tipici di ogni angolo del mondo, che il cibo è un piacere e una benedizione dell’universo. Ecco perché dobbiamo gustarlo in maniera sana ed equilibrata.

Ho abbandonato tutte le mie vecchie abitudini abbracciando le nuove, spinta da me stessa e dall’aiuto dei miei mentori e luminari, vicini e lontani nello spazio e nel tempo. Senza accorgermene sono risalita sulla bilancia senza l’angoscia ma anzi con la giusta trepidazione: ho perso 35 kg in un anno senza dieta!

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Ma attenzione: evitare le ricadute!

La lotta contro il Binge Eating Disorder è una lotta senza fine. Non bisogna mai abbassare la guarda, in realtà. Perché comprende dei meccanismi fisici e psicologici che sono sempre latenti al di sotto della soglia della consapevolezza di ogni singola persona che ne soffre. E che spesso ne soffre senza esserne cosciente.

Nonostante ciò, ho capito che questo aspetto può essere visto, in realtà, come una benedizione. Perché ci permette di essere sempre in contatto con noi stessi e con le nostre paure, perché ci obbliga a non lasciarci sopraffare dall’ego del “ce l’ho fatta” ma a viaggiare in compagnia dei nostri demoni sempre. Perché anche se andiamo avanti e cresciamo col passare del tempo, dobbiamo essere consapevoli del fatto che ogni azione svolta fa parte di noi e del nostro percorso. E che dobbiamo esserne più che fieri se ci ha condotto fino al punto in cui siamo.

Perché ho deciso di intraprendere una nuova sfida.

Oggi mi sento bene con me stessa e fiera di ciò che ho fatto. Eppure, il “corpo di dolore” di una persona che ha sofferto è un corpo che parla. E che pretende attenzioni costantemente. Ecco perché ho deciso di migliorarlo ancora, intraprendendo un regime alimentare con un nutrizionista e allenandomi ancora meglio seguita da un personal trainer.

Perché? Perché non bisogna mai smettere di lottare per ciò che vogliamo essere, per raggiungere la versione migliore di noi stessi.

Nelle prossime settimane sui miei canali social e qui sul mio blog documenterò il mio percorso di cambiamento, di miglioramento. Perché è un percorso che possiamo condividere insieme e che voglio condividere con le persone che come me hanno vissuto e vivono una brutta esperienza con il cibo.

Il cibo è un nostro fedele alleato, dobbiamo solo ricordarcelo!

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P.S. Vuoi scoprire se anche tu hai una tendenza al Binge Eating Disorder?

Fai anche tu il test per capire a

che livello sei.

P.P.S. Questo articolo è frutto della mia esperienza. Sono consigli di una non professionista e per questo vi raccomando sempre di lasciarvi seguire da qualcuno per ogni dubbio o perplessità mediche. Quello che c’è qui è una persona che, prima di voi, ha vissuto questa esperienza. E che continua a viverla e a raccontarvela.