Lo stigma sul peso, oggi sempre più pressante, è diventato un vero e proprio allarme sociale che nasce dalla dimensione privata e si diffonde a macchia d’olio nella società della perfezione volta alla “performance” del corpo. Approfondiamo la grassofobia nei media nell’articolo.
INDICE:
- La società del “Devo dimagrire!”
- Weight stigma: colpevolizzare il peso
- Il razzismo della “performance”
- Grassofobia “della porta accanto”
La società del “Devo dimagrire!”
Se non ci si è mai passati, non è facile capire che chi è grasso porta una “S” marchiata addosso: lo stigma per cui, se hai problemi di peso, è “semplicemente” colpa tua perché non muovi le chiappe!
Fateci caso: i social, la moda e le pubblicità sono piene di storie di emarginazione per via della taglia e del peso. Una millantata integrazione, una apertura a tutte le forme, al rispetto di tutti i corpi ecc. ecc., che però troppo spesso è solo a parole.
L’ideale di perfezione irraggiungibile di un corpo magro ci fa sentire in difetto anche nelle relazioni: meglio mangiare metà pizza o l’insalata al primo appuntamento, per non rischiare di dare l’apparenza di mangiare troppo. E se la fidanzata ha preso qualche chilo, meglio farle notare il fatto affinché corra ai ripari il prima possibile.
Chi è fuori dall’equazione “magro = bello”, in pratica, NON è accettabile e va redarguito: deve dimagrire perché è giusto così.
Weight stigma: colpevolizzare il peso
Lo “stigma sul peso” è sinonimo di “grassofobia” (fatphobia) ed è il pregiudizio e la discriminazione nei confronti di una persona in base al suo peso. È, quindi, dare minor valore ad una persona con un corpo grasso rispetto ad una con un corpo magro.
Si sono molti modi in cui si manifesta il weight stigma: prendendo in giro o insultando una persona in sovrappeso o obesa, commentando ciò che mangia, giudicando le forme corporee o mettendo pressione su una perdita di peso con la dieta “necessaria” (soprattutto da parte della famiglia o del partner).
Lo stigma sul peso si può verificare in famiglia, nel gruppo di amici, sul lavoro, nell’assistenza sanitaria, a scuola, sui social media, nell’industria del benessere e del fitness etc. E non sembra avere fine.
Il razzismo della “performance”
L’odio per il grasso ha radici nel razzismo ed è molto radicato dentro di noi: è facile farlo uscire, anche quando non ce ne accorgiamo. Facciamo un esempio.
Nella nostra società attenta alle performance e al raggiungimento di obiettivi, i risultati personali sono visti come la conseguenza di impegno, forza di volontà e determinazione, dimenticando l’esistenza di “privilegi” fisici che si possono avere dalla nascita in base ad alcune caratteristiche come genere, etnia, famigliarità ecc. ecc. Tali privilegi riguardano anche i corpi, che sono quindi il risultato di diversi fattori e non solo dell’impegno famigerato.
Eppure, la narrazione sui corpi non fa che colpevolizzare e aumentare l’isolamento sociale e gli effetti devastanti sulla salute fisica e mentale di chi non ha un fisico scolpito.
Recenti studi hanno evidenziato che le persone grasse tendono a essere scartate o pagate meno, a prescindere dal tipo di lavoro o dalle competenze richieste. Più del curriculum vale la foto: è stato provato che a seconda che il peso di un candidato venga rivelato o meno, l’esito di un colloquio di lavoro si ribalta totalmente.
In particolare, le donne tendono a essere discriminate tre volte più degli uomini, soprattutto in lavori che richiedono contatto col pubblico e visibilità.
Grassofobia “della porta accanto”
Ci vuole un grande sforzo per mettere a fuoco questa narrazione sbagliata. Non si sceglie di essere grassi, anche se si può influenzare la forma corporea, proprio come non si sceglie se amare un uomo o una donna, se essere bianchi o neri. E così via.
Il vaso di pandora, comunque, si sta scoperchiando pian piano e accanto alle campagne pubblicitarie inclusive – ma spesso false – c’è un movimento sui social che dà voce finalmente alle testimonianze sul tema della grassofobia.
Tra le tante, molto interessante la iniziativa “Body Club” su Club House e la rubrica “Eva Stai zitta” lanciata su Instagram da Giulia Paganelli insieme a Lara Lago “lara_lake”, che raccoglie sotto diversi cappelli tematici i racconti su episodi di Fat e Body Shaming, Diet Culture, Grassofobia, DCA e Thin Privilege in diverse contesti quotidiani e comuni (famiglia, partner, lavoro, scuola, shopping, assistenza sanitaria).


È allucinante la mole di materiale raccolto, la crudezza di alcune storie e le riflessioni che generano.
L’obiettivo è far emergere il disagio sociale verso queste tematiche, far capire alle vittime che non sono sole e che episodi simili sono accaduti e accadono a molti/e ma soprattutto denunciare il linguaggio e i comportamenti troppo spesso considerati “normali”.
E tu che ne pensi? Ti sembra sempre di dover “entrare in performance” circa il tuo peso? Quanto impatta la narrazione del peso nei media sulla tua percezione?


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Rubrica a cura di Angela Mazzotta per melaniaromanelli.com
Giornalista, ufficio stampa, social media manager. Appassionata di scrittura, comunicazione, musica, tv, cinema, libri, viaggi, pizza e cioccolato. Innamorata perdutamente di Sonia, sua figlia. Un solo motto: cogliere l’attimo, sempre!