I

Leonardo sedeva sul divano in salotto. Sembrava pensieroso, imbarazzato, inadeguato a quella situazione per lui nuova. C’era una calma intollerabile in quella casa, un silenzio del tutto inaspettato, proprio mentre divampava l’inferno. Era il funerale di suo padre.

Leonardo accoglieva gli ospiti sull’uscio per poi invitarli a sedere dove c’era posto e ogni volta un piccolo momento di imbarazzo seguiva i saluti: poche sedie erano lasciate libere dai conoscenti che entravano in massa dopo la lunga processione. Un nuovo arrivato, una nuova formula per lo stesso compito. E un nuovo sorriso. Leonardo regalava a tutti un sorriso. Era il suo modo per esprimere gratitudine e partecipazione. Un sforzo per rimandare il dolore. Leonardo era fatto così.

Soffriva inevitabilmente, eppure suscitava considerazioni e dubbi e domande e grattacapi sul suo modo di reprimere le lacrime. Il suo muoversi per casa, la lucidità di trovare la battuta giusta per ognuna delle persone con cui si intratteneva, la volontà di essere riservato ma gentile, la capacità di mettere a proprio agio chi, venuto per confortare, si sentiva braccato dagli opportuni convenevoli per l’occasione… tutto sembrava insolito e straordinario. Leonardo riusciva a stupire tutti.

Ma non poteva colpire lei. Era Leonardo. Era la sua grazia. Non c’erano cose eccezionali che potessero ricordarle il suo essere particolare.

Quelle azioni speciali non potevano che accrescere non il suo stupore bensì il suo amore.

Amava Leonardo e sentiva il suo amore crescere ancora di più ad ogni momento in cui lo osservava.

Circondato dagli amici era quello di sempre, pronto a dire la sua opinione, di solito divertente, con la quale faceva ridere tutti. Nei giorni seguenti al funerale anche lui si sforzava di ridere. E ci riusciva.

Leonardo è un ragazzo forte, come pochi.

Non ama mettersi in mostra con le persone che reputa più interessanti di sé, persone che ammira per la scioltezza con cui si muovono nelle situazioni, ma sa condurre bene il gioco quando è sicuro che spetti a lui farlo, quando i ruoli si ribaltano e il suo dono di mettere tutti a proprio agio diventa il perno.

Una volta padrone di sé, non annoia mai chi lo affianca, al contrario lo arricchisce di buon umore.

Per questo anche in quei momenti non era diverso. Riusciva a recitare comunque il suo ruolo, aveva bisogno troppo di dimenticare gli eventi drammatici e continuare a vivere come prima. La maggior parte delle volte il peso della perdita era impercettibile, specie se i suoi amici, nella foga del gruppo, se ne dimenticavano sul serio. Ma a guardare bene i suoi occhi, i suoi piccoli occhi color cioccolato, a guardarli bene i suoi occhi erano spenti. Spenti come gli occhi di un giullare che scherza ed enfatizza la gioia, ma tiene ben nascosto il dolore. E quello che Leonardo provava non erano le risate di un sollievo che tenta di ritornare, non le risate che faceva scoppiare o quelle che suscitavano i suoi amici.

Leonardo provava dolore. Senza sollievo, senza speranza, dolore che non si giustifica. Che non si capisce.

 

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II

Lei amava di Leonardo una cosa che di chiunque altra aveva più valore: la magia di lui.

Leonardo era per lei un mago che sebbene spoglio di vocazione la stregava inconsciamente senza fare nulla. Come poteva essere voluto quell’incantesimo se Leonardo  non sapeva di essere un mago?

Eppure c’era magia. Ogni volta che Leonardo le rivolgeva la parola lei la annusava, la cercava.

Perché ad un suo qualsiasi godimento mancava la magia che solo lui poteva darle.

Solo lui. Se avesse saputo.

Ma questo non contava in quei giorni tristi, in quei strani giorni di fatica gratuita e non richiesta.

Neanche a lei contava di se stessa. Leonardo contava, e contava quello di cui lui aveva bisogno.

Solo che lei non era sicura di sapere cosa fosse.

Ma non lo sapeva neppure Leonardo .

Leonardo non sapeva più niente. Provava solo rabbia.

La cosa ridicola era che lei la provava forse ancora di più. Si sentiva impotente.

Un dottore che ha la cura ma non il paziente da guarire, un ospite che ha il dono più bello ma non l’invito, una nave che non ha il mare per salpare. Un fuoco che non ha legna da ardere.

Non aveva nemmeno provato a offrirgli il suo aiuto per paura di sembrare presuntuosa oltre che inopportuna. Perché – si chiedeva- mi ostino a credere di poterlo capire?  Perché non la smetto -continuava- di ritenermi importante?

Lei non era nessuno, in effetti. Non aveva nessun ascendente su di lui, né una vicinanza che potesse giustificare quella forte empatia per il dolore di Leonardo, né una reale possibilità di aiutarlo, di stringerlo, di accorparsi il peso che riusciva a sentire sulle sue spalle quando aveva la fortuna di poter parlare con lui. Ma non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa. “Io posso”. Quel pensiero non se ne andava e continuava a prenderla in giro, a tormentarla, a stordirla.

Continuava a sforzarsi, per quel che poteva, di essere partecipe in tutte le occasioni in cui era richiesta gente che colmasse i vuoti, messe in ricordo del padre di lui, cene organizzate in suo onore. Quello che restava, cioè, alle persone lontane per esprimere vicinanza. Cose così, che sembrava bastassero a tutti, tutti tranne lei, che ci si aggrappava con la forza perché erano le uniche cose che aveva per sentirsi meglio, per vedersi simile ad Leonardo. Eppure non servivano a nulla.

III

L’attesa di un momento tutto per loro, di un attimo per potersi guardare veramente negli occhi, per essere sincronizzati con i cuori che battono all’unisono, ci fa strada verso una serata organizzata, una serata di musica in cui le persone accorse in massa erano semplici marionette perchè Leonardo era tutto il pubblico che lei vedeva mentre era pronta ormai per cantare.

Una sera speciale perché parte di un sogno desiderato disperatamente.

Lei era sul palco, le mani umide e fredde che sfregavano i pantaloni scuri quasi ad accendere scintille, i nervi scossi e gli occhi colmi di paura e eccitamento mentre Leonardo era in piedi, le braccia conserte che ogni tanto si scioglievano per enfatizzare un’opinione in una conversazione.

Ma lei quella sera si sentiva diversa, si sentiva più forte, si sentiva la star, non il fan.

“Leo, questa canzone è solo per te” – disse – mentre lo cercava tra la folla, sorridendo, rossa per la vergogna. Ma lui era sempre lì che parlava, che rideva con i suoi amici…non la guardò neanche stavolta.

Il microfono era staccato. E la vergogna che si impossessava così prepotentemente di lei la bloccò come il veleno di un serpente a sonagli. Scese dal palco tremando, la pioggia era un turbine e fece scappare tutti i presenti che tentarono di raggiungere luoghi riparati. Lei bagnata fradicia cercava ancora Leonardo sperando che avesse almeno letto il labiale di quel grande e coraggioso passo, convinta di poterlo ripetere ancora una volta con lui di fronte a lei, quando le sue parole e le sue intenzioni sarebbero state inequivocabili, dirette, sincere… ma niente, Leonardo era andato verso l’asciutto, come gli altri. Non seppe mai nulla di quel momento dedicato a lui, di quella vita dedicata a lui, di quel piacere sacrificato in un modo così ingiusto e senza speranza e tuttavia così dolce.

Non c’era stato, ne ci sarebbe stato mai, niente di esclusivo tra loro, ogni giorno sempre terribilmente ordinario.

Lei pianse per l’occasione sprecata, andata a male, marcita tra gocce di pioggia e lampi.

Ritornò a sentirsi il gregario di turno subito dopo. Di nuovo impotente di nuovo buona a nulla di nuovo sconsolata di nuovo fragile. E di nuovo sola. Sempre più lontana.

Sarebbe partita, infatti, di lì a due giorni.

IV

Così se ne andò via, con la testa bassa e ricolma di lacrime, senza voltarsi indietro, con l’unico ricordo a senso unico che aveva condiviso insieme con lui: una breve ma intensa corsa in macchina di ritorno a casa in una sera qualunque passata in gruppo, senza picchi di emozioni che non fossero i suoi.

Non salutò il “suo” Leonardo che continuò la sua vita con chi poté essergli vicino, con chi non l’aveva mai amato come l’aveva amato lei, con chi non era lei.

 

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