Non so davvero come guardare Claudia negli occhi. Non ce la farò dopo quello che le ho fatto. Mi sono comportata come una stronza. Come è possibile che io abbia potuto farlo proprio a lei?

Io che per prima giudico chi sbaglia, io sempre pronta a criticare, io che mi considero l’essere perfetto per eccellenza, che mi metto ogni volta sul piedistallo calpestando gli altri e riuscendo anche a sentirmi bene per questo, stavolta devo affrontare la realtà di me stessa. Mi sta proprio bene. Me lo merito. Povera testa di cazzo. Fare del male ad una persona che mi è così vicina. Devo essere proprio una vipera della miglior specie, una bestia così feroce che ucciderebbe se stessa. Ho colpito il mio braccio destro condannandomi a portare un peso insostenibile con metà della forza.

Sono più crudele di Poison Ivy. Il mio è un veleno mortale.

 

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Riesco a sentire il sangue che cambia sapore. Diventa più aspro ad ogni pompata del cuore, ad ogni respiro di aria diventa più nero. Pur senza che le tue labbra lo tocchino, ne senti tutta l’amarezza. La tua bocca non gode più del dolce. E anche rubare il miele alle api non basterà al gusto per ritrovarlo. È uno stato congenito.

L’ultima è stata la nostra cavalcata migliore. Io, Claudia e il mio cavallo bianco e il sole e il vento a farci compagnia. Perché se il vento, come le onde del mare, ti dà la spinta per sognare, cavalcare è l’equivalente di un sogno che si avvera, che fa rinascere e ti prende per mano perché tu non ne abbia più paura. Eravamo libere, incoscienti che quell’attimo sarebbe durato solo un attimo, eravamo felici.

Cosa è stato che mi ha buttato così giù da non poter più risollevare me stessa? C’è che ho accoltellato la mia migliore amica con l’arma che ferisce più di tutte: le parole. Le chiacchiere gratuite. Chiacchiere, la gente non pensa che alle chiacchiere. Come se l’unica cosa al mondo sia spettegolare degli altri, come se fossimo tutti celebrità da copertina e una insignificante cittadina del centro-sud fosse Hollywood Boulevard, come se banali eventi valessero una vita intera. Le persone si dedicano ad eleganti movimenti di labbra per emettere suoni, dolci come il marcio, dimenticandosi troppo spesso di collegare il cervello. Non può che crescerne una melodia malata, che non cura il cuore ma affoga la mente e distrugge la materia cerebrale. Si scambiano, senza cura, da bocca a bocca, le parole, che vibrano nell’aria seguendo i percorsi prestabiliti dei legami e dei gruppi, delle conoscenze. Delle persone.

Ho detto a tutti che Claudia era una puttana. È una puttana. Una puttana d’oc. Ecco cosa ho fatto.

Non che non lo meritasse, intendiamoci. Tutti qui in città conoscono i sui trascorsi da ape operaia, quando volava di casa in casa per riempirsi di nettare, per cospargersi mai paga del cielo che solo i suoi numerosi fiorellini le facevano toccare, a volte solo con un dito. Quei numerosi soldatini sempre sull’attenti, sempre piegati sul lavoro, sempre più stakhanovisti. Quei suoi numerosi amanti che appena prese le distanze la cospargevano di merda. Ma Claudia, forte com’è, è sempre riuscita a risollevarsi, a rinascere con tutto quel concime a nuovo fiore. Ecco, quella vita, che con le lacrime si è riguadagnata, è finita. Finita a causa mia. Le ho disintegrato la sua nuova vita e le ho fatto male come non mai.

Eppure il mio problema non è questo. Non sto scrivendo per chiederle scusa. Per raccontarmi che facendolo possa meritare il suo perdono. Queste sono solo stronzate da confessionale, e io non sono certo tipa da preghiere e filastrocche imparate a memoria senza capirne il senso. E non sto scrivendo nemmeno per essere letta, per essere in qualche modo lodata per il mio coraggio di denunciare quello che ho fatto, il male che le ho fatto, senza preoccuparmi di lei, senza pensare alla nostra vita insieme, in simbiosi perfetta, almeno fino a ieri. Sto scrivendo per un motivo ben peggiore che mi sta lacerando davvero. Perché io, questo essere velenoso e putrefatto dentro, non riesco a sentirmi in colpa. E questo mi da davvero fastidio.

Mi da fastidio non perché dovrei, sia chiaro, ma perché penso che forse ho buttato gli anni migliori insieme ad una puttana che non si meritava poi tutta questa mia abnegazione, tutta la mia ammirazione. Tutto il mio amore incondizionato. Se se li fosse meritati mi sentirei in colpa, uno sputo calpestato da un passante ubriaco. Ma invece sento che era la cosa giusta da fare, come se aspettassi da tutta una vita di causarle del male, di vederla soffrire, di farla piangere.

Eppure sono nervosa, nauseata da me stessa. E questo non va bene. Perché adesso che ho 17 anni non mi resta che crescere cercando di dimenticare l’adolescenza di merda che ho vissuto affianco ad una persona di merda che ho eliminato tirando lo sciacquone solo ora che è troppo tardi per tornare indietro. Ho buttato i miei anni migliori. Adesso lo so. E non posso risolvere la questione. E se far star male Claudia mi fa neanche stare meglio vuol dire che ho fallito, fallito su tutta la linea.

Che cos’ho che non va? Cosa mi resta da fare ora? Ignorarla? Dimenticarla? Non posso, non sono felice, non lo sarei neanche cancellandola dalla mia vita. E non lo sono nemmeno ora che ho incasinato la sua. Aspetto questo momento da una vita e ora che finalmente è arrivato mi sento come uno straccio. Sto vivendo un’impasse. Cosa devo fare? Coraggio ditemelo.

Forse lo so cosa c’è che non funziona nella mia testa. E lo sto capendo solo adesso. C’è che sono una cacasotto. Una codarda. Una persona senza entusiasmo. Prima traevo tutto il mio mondo da Claudia. Adesso che non c’è più mi accorgo che sono io nella merda, non lei. Lei vive, sbaglia, è una puttana. E io? Io che cosa sono? Sono il pus, un parassita, una sanguisuga. Già. Forse non avveleno proprio nessuno. Forse sono io che sono nata avvelenata. E di sicuro, devo cercare di eliminare tutto questo veleno lercio che ho dentro. Sì. È la cosa giusta da fare. Purificarmi. Rinascere pulita.

Ecco fatto. Non era poi così difficile. Bastava un secondo. E io che pensavo fosse così difficile! Ci ho dato un taglio, letteralmente e metaforicamente.

Sento il sangue scorrere nelle mie vene, stavolta senza ostacoli dettati dall’involucro della mia pelle. Il sangue scorre, uscendo fuori, precipitandosi a cascata dai miei polsi al pavimento. Un volo a planare silenzioso e rassicurante.

Inizio a sentirmi un po’ stordita. Ma in fondo erano anni che non provavo questa sensazione. Sento la vita. Che forse si sta allontanando, ma la sento. Ora come non mai. È così reale che mi dispiace dover spegnere tutto proprio adesso che ho intrapreso la strada giusta.

Solo un piccolo neo: mi scoccia un po’quello che si dirà di me. Cioè che mi sono uccisa non riuscendo a portare il peso di quello che avevo fatto a Claudia. Lei non c’entra niente, cazzo! L’ho fatto solo per me, per puro egoismo, e non di certo per morire. L’ho fatto per rinascere, per dare un senso a questi miei primi 17 anni. Ai miei unici 17 anni.

Che ironia. Adesso che rimarrà solo Claudia, sarà ancora lei la sola e unica santa e martire della situazione. Coccolata e compatita. E io ancora solo una povera idiota che non doveva dire quello che ha detto.

Ma guarda un po’ che se l’è scampata di nuovo. Che puttana.

Eccole: le mie ultime due gocce di veleno che cadono…

 

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